venerdì 20 novembre 2009

Recensione per "Tutti tranne uno"

Tutti tranne uno
Pina Varriale
Editore: Piemme
Anno: 2009
Collana: Storie di oggi
Pagine: 201
ISBN: 978-88-566-1071-0



Numerosi libri per adolescenti pullulano di figure eroiche che superano prove a dir poco inverosimili. Assistiamo ad un attivismo, ad un impegno umano e civile così sopra le righe, che si stenta a riconoscere in questi ragazzi la generazione che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno. Al contrario, Pina Varriale ci parla di ragazzi speciali che hanno una predisposizione costruttiva verso le circostanze; guidati da un moto interiore di coscienza o di affetto, rimangono comunque iscritti nel territorio del reale. Questo ancoraggio al possibile, rende specchianti i suoi personaggi: siamo in grado di ritrovarli, hanno una familiarità accattivante, sono concreti.
Per Giulia sono i primi giorni di liceo: ambiente nuovo, nuovi professori e materie, nuovi compagni di classe. Il liceo è uno dei più esclusivi di Napoli. Giulia è cosciente di andare incontro ad una difficile integrazione, lei che ha dovuto di recente cambiare quartiere a causa della perdita del posto di lavoro della madre, ma è caparbia ed è convinta di farcela. A casa, il rapporto tra i genitori non è sereno, i continui litigi accentuano la situazione economica precaria. Per caso, Giulia ascolta sua madre al telefono mentre bisbiglia di una presunta relazione del padre. Nella realtà le cose sono più complicate, anche se comunque di tradimento si parlerà. A scuola Giulia stringe amicizia con una ragazza molto benestante, Clara, che le apre le porte ad un lusso, mai neanche immaginato.
Un giorno qualunque il padre scompare nel nulla; abbandona la sua auto e un paio di scarpe vicino al molo. Scattano immediatamente le ricerche della polizia: la pista del suicidio sembra la più probabile. Poi giunge una lettera. Il padre mentiva già da alcuni mesi, da quando era stato licenziato dalla sua ditta e, per sopravvivere, aveva chiesto dei soldi ad una finanziaria, ma doveva ridargli il quintuplo e non aveva più niente. Per questo motivo preferiva sparire e non mettere in pericolo anche la famiglia (conosciamo dalla cronaca i metodi adottati dagli usurai per ricordare le scadenze). Ed ecco la verità: niente amanti o fughe clandestine, suo padre sta scappando dagli strozzini. La menzogna, il tradimento, la mancanza di fiducia nel sostegno della famiglia sono i macigni che si depositano con brutalità nell’animo di tutti. Come andare avanti? A chi chiedere aiuto? Il fratellino è mandato dai nonni, alla Caritas si prenderanno i pacchi di viveri e un lavoro come donna delle pulizie si troverà. E Giulia? Lo scontro fra le problematiche di un’adolescente (il ragazzo carino, il vestito più adatto, l’amicizia, lo studio) e le necessità impellenti, creano un divario così incolmabile che Giulia decide di lasciare il liceo, almeno per un po’. Lavora come baby-sitter e si occupa della casa. Le circostanze e molte buone intuizioni, portano Giulia e la polizia sulle tracce del Commendatore che gestisce questa finanziaria. E il cerchio si chiude su Clara e sulla sua ricchezza così disonesta.
Uno squillo, silenzio, uno squillo: il padre di Giulia sta per tornare a casa.
Una storia a lieto fine che attraversa i temi forti del prestito ad usura, delle famiglie che cadono in queste trappole, della povertà. Questa volta, però, Tutti tranne uno. (Silvia Bassani)
“Mio padre lo diceva sempre, quando si arrabbiava per un’ingiustizia. Quante volte ha detto che stare zitti significa solo fare il gioco dei prepotenti?”

sabato 14 novembre 2009

Q.B.

Mi capita spesso leggendo autori emergenti (ma ho trovato la stessa caratteristica anche in molti autori affermati, penso ad esempio ai libri di Simenon che rigurgitano di dialoghi o a certi romanzi di Marquez , tanto per citarne qualcuno), di trovarmi davanti a pagine e pagine fitte di battute, di frasi in cui, dopo un po’, si perde di vista il “chi dice cosa”.
Se è vero che i dialoghi rendono i personaggi più “vivi” non dimenticate però che la logorrea è asfissiante. A tutti sarà capitato di imbattersi nel cosiddetto “attaccabottone”, una persona cioè capace di inchiodarvi per ore col racconto minuzioso di fatti assolutamente insignificanti.
Per evitare di essere voi l’attaccabottone di turno, quando scrivete i dialoghi, mettetevi al posto del vostro lettore. Eccolo lì, lo vedete? Si è seduto in poltrona, armato delle migliori intenzioni di questo mondo (vuole finire di leggere il capitolo prima di cena), eccone là un altro, aggrappato alla staffa in un bus sovraffollato, col gomito del vicino piazzato in un fianco e i capelli riccioluti di una grassona che gli solleticano il naso.
Quanto credete che potrà durare l’attenzione di questi poveretti, durante la lettura di un dialogo che si protrae per diverse pagine? Tre minuti al massimo, dopo di che quello in poltrona si alzerà per andare a spilluzzicare qualcosa in cucina e il tizio del bus, che ormai si è perso nel disperato tentativo di capire “chi dice cosa”, deciderà di scendere alla prossima fermata e di fare due passi per snebbiarsi la mente, ingolfata da dialoghi di questo tipo:
- Situazione di partenza: due amiche, sedute al tavolino di un bar, parlano di una conoscente, affetta da depressione, che ha tentato di uccidere il marito. La prima donna è una bionda, quarantenne, insegnante di sostegno in una scuola elementare. Si chiama Vanda e ha alle spalle un matrimonio fallito. L’altra è Carla, trentacinquenne, giornalista free-lance che si occupa di cronaca nera per un giornale locale.
-Non credevo che lo avrebbe fatto, non era il tipo.
-Come puoi dirlo? La mente umana è un mistero.
-Già, ma certe cose si sentono a pelle… Ho parlato con lei diverse volte e mi ha sempre dato l’impressione di essere una persona equilibrata…
-Ma per favore, non farmi ridere. Se quella è equilibrata io sono Wonder Woman…
-Non scherzare, è una cosa seria. Sai meglio di me che, per certe cose, l’intuito è meglio di un radar…
-Non dirmi che credi a queste cretinate! Se mi fossi affidata all’intuito, sai quante cantonate avrei preso…
-Già, però non si arriva a uccidere un uomo così, ci devono essere stati per forza dei segni premonitori.
-Segni? Premonizioni? Ma, smettila… mi sembra di parlare con mia madre. Lei è una che crede all’aldilà, alla sfiga, ai gatti neri e al sesto senso…
-Che c’entra il sesto senso? Qui si tratta di un delitto a sangue freddo.
-E chi lo dice? Nessun omicidio avviene a sangue freddo, l’autore del crimine, in ogni caso, è un essere umano per cui…
-Stai giustificando quella donna?
-Non ho detto questo. Se tu mi lasciassi parlare, ti spiegherei che la componente emotiva è sempre presente in tutte le nostre azioni …
Il dialogo può andare avanti all’infinito e, se è vero che in certi momenti è possibile intuire chi sta parlando (ad esempio la psicologa quando fa riferimento alla componente emotiva e alle superstizioni) per la restante parte il lettore brancola nel buio, si perde in un labirinto in cui non c'è via d'uscita.
Se il vostro intento, dunque, è quello di scoraggiare, andate avanti così, riempiendo cartelle e cartelle di dialoghi, se invece, come suppongo, i vostri sforzi sono tesi al raggiungimento dell’obiettivo che deve essere sempre “coinvolgere e affascinare” il lettore, allora tenete presente la regola del “q.b” delle ricette di cucina. Quanto basta! Non esagerate, la giusta misura in ogni cosa è il criterio a cui non dovete mai rinunciare.

giovedì 12 novembre 2009

Sorridi, sei un impiegato dello Stato!

Da oggi, sorridere ed essere cortesi sarà un obbligo per i dipendenti pubblici. Questa è la precisa volontà del ministro Brunetta che minaccia sanzioni per gli impiegati e i dirigenti “musoni”. Dunque, via ai fannulloni e sorridete, please! Come si fa? Semplice. Basta che non pensiate al fitto di casa da pagare (che si porta via due terzi del vostro favoloso stipendio di mille euro), dimenticatevi le bollette (sempre più esose, alla faccia degli up and down della benzina), lasciate perdere le banali preoccupazioni legate alla meschina sopravvivenza e… sorridete! Naturalmente non dovrete far caso al Capo che vi stressa, all’utenza spesso più sgarbata di tanti sgarbatissimi impiegati, alla mole di lavoro da smaltire per cui l’Amministrazione richiede competenze da plurilaureato e vi ricompensa come si fa coi “vu cumprà”. Ancora non vi riesce di sorridere? Niente paura. Un bel sorso di mercurio e, oplà, la risata è assicurata e… micidiale.

Le foto della presentazione "Non calpestate i nostri diritti" all'Unicef di Roma

Questa è una delle foto che sono state scattate durante la presentazione dell'antologia "Non calpestate i nostri diritti" che Piemme ha pubblicato per conto dell'Unicef. Qui sono con la scrittrice e giornalista Elena Mora che è anche una delle curatrici del volume.

mercoledì 11 novembre 2009

Non calpestate i nostri diritti: il video della presentazione a Roma

Se cliccate su questo link: http://www.c6.tv/archivio?id=6839 potete vedere il video dell'incontro alla sede Unicef di Roma, con la Signora Napolitano e i bambini per la presentazione del libro "Non calpestate i nostri diritti"edito da Piemme. Vi ricordo che il ricavato delle vendite andrà totalmente all'Unicef e alla Fondazione Mandela per la costruzione di scuole in Africa. Natale si avvicina, questo libro può essere una bella idea-regalo nonchè un piccolo contributo per una grande speranza: dare un futuro ai bambini.

sabato 7 novembre 2009

I dialoghi

Tra gli elementi che dobbiamo tenere presenti e su cui è necessario giocare bene per ottenere un effetto di verosimiglianza ci sono i dialoghi. Mi capita, spesso, di leggere degli autori emergenti che, se da un lato appaiono soddisfacenti in quanto a scorrevolezza dei testi, poche “cartelle” più avanti, cadono miseramente nell’affrontare i dialoghi.
Vi faccio un esempio: immaginate un Autore che abbia descritto un paesaggio urbano, in cui si muove un branco di sbandati. Come pensate che debba svolgersi un dialogo tra Giorgio, il leader e uno dei componenti della banda?
La situazione è la seguente: la banda ha organizzato una rapina ai danni di un distributore di benzina, ma qualcuno ha chiamato la polizia e soltanto Roberto è riuscito a sfuggire all’arresto. Giorgio, il Capo, non era presente e chiede il resoconto dell’accaduto.
Nel dialogo, i termini usati dagli “attori” devono essere il più possibile usuali, consueti. Evitate le parole ricercate e i termini obsoleti che danno un effetto di “ingessato”. La credibilità e, dunque, la verosimiglianza della storia si costruisce anche in questo modo. Questo non vuol dire che bisogna rifarsi a una sorta di “verismo” moderno, riportando nei dialoghi parole e modi di dire regionalistici. Non dimenticate che l’ipotetico lettore può appartenere a qualunque area geografica. Un testo troppo ricco di coloriture dialettali, utilizzate allo scopo di rendere “verosimile” il dialogo, finisce non solo con lo stancare presto ma è, soprattutto, di difficile comprensione.
Per tornare all’esempio di cui sopra, il dialogo tra Giorgio e Roberto, potrebbe essere il seguente:
-Erano già là… ci stavano aspettando. Non abbiamo avuto neanche il tempo di dire “crepa” che…
- Taglia corto, voglio sapere come avete fatto a farvi fregare…
- Ce li siamo trovati addosso, quel bastardo del benzinaio ha intrappolato i ragazzi nello sgabuzzino… I soldi sono qua, ha detto. Pietro e Marco sono entrati per primi, Filippo non si fidava ma alla fine ci è cascato…
-E tu?- lo sguardo di Giorgio è fosco- Come hai fatto a scappare? Non sei più furbo degli altri, eppure… sei qui…
Come potete notare, le parole utilizzate sono semplici, così come accade in un dialogo reale, ma i termini “bastardo” e “crepa” danno immediatamente l’idea dei personaggi e dell’ambiente sociale a cui appartengono.
Spesso i principianti fanno un uso eccessivo di termini forti, spesso volgari o comunque, non necessari. Una eccessiva coloritura dei dialoghi finisce presto col disturbare il lettore e col distogliere l’attenzione sui fatti che si stanno narrando.
Quando scrivete un dialogo, sforzatevi di immaginare come parlerebbero i vostri personaggi se fossero persone in carne ed ossa. Tenete sempre presente a quale categoria sociale appartengono, qual è il contesto in cui si muovono, che bagaglio culturale hanno alle spalle.
E’ assai improbabile infatti, come talvolta mi accade di leggere, che un delinquente si rivolga a un compare dicendogli:
-Erano già là… ci attendevano. Non abbiamo avuto il tempo di capire cosa stesse accadendo.
- Basta con gli indugi, spiegati!
-Siamo stati attirati in una trappola… il benzinaio, con una scusa, ha fatto in modo di imprigionare i ragazzi nel retrobottega…
Credo che l’esempio sia abbastanza chiaro, tutto quello che adesso dovete fare è esercitarvi coi dialoghi senza dimenticare di rileggere ad alta voce ciò che avete scritto. Abituatevi ad “ascoltarvi”, non è da tutti ma dà ottimi risultati.

lunedì 2 novembre 2009

Tutti tranne uno, Pina Varriale, ed. Piemme 2009


Da oggi, in tutte le librerie italiane, c'è il mio ultimo libro, edito da Piemme: "Tutti tranne uno".

Incrocio le dita e... speriamo bene!
Giulia non avrebbe mai immaginato che sarebbe potuto accadere proprio a lei. Certo, la sua famiglia non navigava nell'oro, ma i soldi per fare la spesa o per andare al mare d'estate non erano mai mancati. Una sera, però, il padre di Giulia non rientra a casa dal lavoro, e quando la ragazza lo cerca in ufficio, l'ingegner Nardelli le dice candidamente di non vedere l'uomo da mesi, da quando cioè è stato licenziato. Per Giulia è una doccia fredda. Possibile che suo padre non abbia raccontato nulla a lei e a sua madre, fingendo di andare a lavorare tutti i giorni? Dove ha preso i soldi per vivere e pagare l'affitto? E dove è fuggito adesso? Giulia vuole scoprire la verità. Ma questo non è il suo unico problema, perché d'ora in poi dovrà fare i conti con la dura realtà dell'essere poveri. Età di lettura: da 10 anni